Welfare

La meglio gioventù d’Europa sta nel carcere minorile

I ragazzi detenuti all'interno dell'Istituto penale minorile di Treviso hanno realizzato uno spettacolo teatrale.

di Ornella Favero

La ?meglio gioventù? che sta al carcere minorile un cittadino ?normale? non la può vedere in faccia, perché una legge ferrea di difesa dei minori impone a chi si occupa di informazione di ?oscurare? i loro volti, anche di quelli che vorrebbero ben volentieri farsi vedere. Eppure, vogliamo definirla la ?meglio gioventù?, perché sono belle facce, quelle dei ragazzi incarcerati che nell?Istituto penale minorile di Treviso hanno realizzato uno spettacolo teatrale, In paradiso non ci sono clandestini, che è andato in scena purtroppo per pochi ospiti fortunati, studenti delle scuole superiori di Treviso, insegnanti, volontari. Purtroppo, perché lo spettacolo è vivace, pieno di spunti curiosi, ma non può essere mostrato all?esterno, quelle facce non possono uscire, non ci sono genitori che possano firmare una ?liberatoria?, come per tanti piccoli aspiranti divi della nostra televisione. Peccato, perché è proprio lì, negli occhi dei magrebini, negli zigomi larghi dei rumeni che leggi una cosa fondamentale: che un ragazzo è un ragazzo e quindi si diverte da matti a fare teatro, anche se è in un carcere, e poi ti chiedi se davvero è in carcere che deve stare questa generazione di ragazzi, che se ne scappa da Paesi dove ancora non c?è futuro per chi ha meno di vent?anni, e si ritrova in carcere nei nostri Paesi europei, dove invece stanche generazioni di giovani finiscono spesso sui giornali, ma non in galera, per reati ?da ricchi?, come rubare telefonini ai coetanei, fare i bulli nelle loro scuole.
Lo spettacolo, a cui hanno lavorato dieci ragazzi, coordinati da Nicola Mattarollo e Valentina Paronetto, inizia con catastrofici incidenti stradali, nei quali si schiantano e muoiono i diversi protagonisti, e ci mostrano, più efficacemente di certi spot terroristici, come, guidando impasticcati o imbottiti di alcol, non ci si salva. Giungono poi in paradiso, e si intrattengono con l?angelo, l?attrice che fa da filo conduttore, unica ad usare la lingua italiana e a esplicitare così, con leggerezza e ironia, quello che ognuno dice in arabo o in rumeno. E l?angelo alla fine, dopo aver faticosamente cercato di valutare colpe e meriti dei suoi ?ospiti?, conclude con disappunto che “Non è facile valutare una vita terrena”. È terribilmente vero, ma le storie di questi ragazzi dicono che c?è chi li giudica, e li condanna oggi a pene mediamente anche più alte che qualche anno fa.
Pensando al destino di questi ragazzi, e al titolo dello spettacolo, viene da dire che sappiamo proporgli una sorta di pacificazione, e di accettazione del loro essere arrivati da clandestini, solo in paradiso. Ma a 18 – 20 anni, uno dovrebbe avere il diritto di cercarselo in terra, il paradiso, e di non essere cacciato quando mette piede nel ?paradiso? degli altri.
Ornella Favero (ornif@iol.it)

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